Dristânushravika-visaya-vitrisnasya vashîkâra-samjñâ vairâgyam
La consapevolezza della padronanza perfetta (dei desideri) per chi abbia cessato di anelare agli oggetti, visibili o non visibili, è il vairâgya.
La mente non educata si muove seguendo una serie di desideri effimeri: si brama qualcosa perchè si pensa che possa portare maggiore felicità ; ci si suggestiona, rinforzando questi pensieri trascinanti, fino a quando l'oggetto ambito deve essere ottenuto a tutti i costi.
Sono i desideri che spingono l'uomo all'azione. Fama, denaro, prestigio, considerazione o altre ricchezze fanno nascere una volontà di possesso che sovente non è accompagnata da un corrispondente impegno per conquistare quanto agognato; si sceglie una via più facile e quindi il furto, la violenza, la guerra diventano accettabili; si può arrivare persino all'omicidio perchè i desideri rendono schiavi e portano a percepire la realtà secondo un metro soggettivo, diverso per ciascun individuo e sempre suscettibile di cambiamenti.
Cosa provoca il desiderio?
- la memoria (sutra I.11). Le impressioni delle esperienze passate si tramutano in immagini mentali e, se gli eventi sono stati positivi, se ne cerca la ripetizione; nel caso invece in cui l'esperienza sia stata spiacevole la si rifiuta, perseguendo il piacere come evasione e antidoto;
- l'immaginazione o fantasia (sutra I.9). E' una proiezione della mente che spesso tende a rafforzare il desiderio, che si fissa così nel mentale e contribuisce a creare un mondo fittizio che va a sostituire la realtà fenomenica;
- l'invidia (sutra I.33). Patañjali invita a provare sentimenti amichevoli verso chi gioisce o verso chi è riuscito a conquistare qualcosa che non tutti hanno: questi non deve essere invidiato ma tenuto come esempio, in modo da trovare forza e intelligenza necessari per ottenere il medesimo risultato. L'invidia genera avidità e molti altri stati mentali pericolosi e malevoli, denuncia un desiderio di potere e di dominio e provoca confusione e miseria interiore, barriere e separazioni, nell'individuo come nei popoli;
- l'attaccamento (sutra I.12). E' la paura di perdere ciò su cui si è costruita la propria vita, tanto i beni materiali quanto le persone, equiparate in tal modo ad oggetti del nostro potere. Se proviamo piacere a contatto di una persona cerchiamo di riflettere da dove sorga questo sentimento: è in noi quella gioia o abbiamo bisogno della vicinanza di qualcuno per sperimentarla? In quest'ultimo caso ci può essere dipendenza, attaccamento, che ci porta a vivere nelle sensazioni.
Con lo Yoga è possibile modificare le abitudini sbagliate e l'identificazione con esse. L'antidoto è costituito da viveka (discriminazione tra reale e irreale) e vairâgya (non attaccamento emotivo, atteggiamento molto diverso dall'indifferenza) che consentono di arrivare al distacco dei sensi e della mente.
Lo Yoga coinvolge la totalitĂ del nostro essere e ci porta a conoscenza delle leggi supreme.
Patañjali non chiede al discepolo di credere alle sue parole ma invita a sperimentare in prima persona; lo Yoga si fonda infatti sull'esperienza: non impone regole ma offre indicazioni che devono essere comprese, vissute.
Con lo sviluppo di viveka e vairâgya, le vâsanâ (impressioni che giacciono nel subconscio, potenziali impulsi di pensiero ed azione) si acquietano pur non scomparendo: ne restano le tracce, che come semi possono improvvisamente svilupparsi ogni volta che si presentano le condizioni adatte; non si può dimenticare che lo Yoga ha come obiettivo la ricerca della Realtà ultima e per questo la consapevolezza deve essere continua ed l'impegno costante. di MP
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