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Âyurveda e Yoga: uno sguardo d'insieme

Come lo Yoga anche l'Âyurveda guida l'uomo oltre i limiti dell'ignoranza e della sofferenza

Âyurveda e Yoga: uno sguardo d'insieme
20 marzo 2007

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Glossario sanscrito

«Malattia, apatia, dubbio, negligenza, indolenza, inclinazioni mondane, illusione, non attingimento di uno stadio, instabilità; questi determinano la distrazione della mente e costituiscono gli ostacoli. Dolore (mentale) disperazione, nervosismo e respiro difficile sono i sintomi di una condizione distratta della mente» (Yogasûtra I-30,31)

«La mancanza di vera conoscenza è la sorgente di tutte le sofferenze e i dolori, siano essi allo stato dormiente, attenuato o pienamente attivo. Confondere il transitorio con il permanente, l'impuro con il puro, il dolore con il piacere, e quello che non è il sé con il sé; tutto ciò è chiamato mancanza di conoscenza spirituale, avidya» (Yogasûtra II-4,5)

Con queste poche ed illuminanti parole il saggio Patañjali esprime i concetti fondamentali che guideranno la pratica dello Yoga, ma qualcun altro nello stesso periodo, usando quasi le stesse parole, tracciava i solchi che avrebbero poi condotto alla via della cosiddetta «Scienza della conoscenza della vita» ovvero l'Âyurveda.

Si tratta di Charaka, il compilatore del più antico e basilare trattato sulla medicina ayurvedica giunto fino a noi, la Charaka Samhitâ; il suo scopo è guidare la condizione umana oltre i limiti dell'ignoranza e della sofferenza sia fisica che mentale:

«L'errato convincimento su ciò che è eterno e ciò che non lo è, su ciò che è salutare e ciò che non è salutare, costituisce un disturbo dell'intelletto, perché l'intelletto (in condizioni normali) vede in modo equilibrato»

«A causa dell'indebolimento della volontà non si può controllare la mente che è incline verso il campo degli oggetti; la funzione della volontà è di guidare la mente lontano dagli oggetti insalubri» (Charaka Samhitâ Sarîrâsthâna I-99,100)

Secondo un'opinione universalmente diffusa in India, una disciplina è degna di essere studiata solo se ha un'effettiva utilità o consente di realizzare uno dei quattro purusârtha (fini dell'esistenza umana) ovvero, secondo l'Âyurveda:

  • dharma: derivante dalla radice verbale dhri che significa sostenere, azione di sostegno, dunque mantenere l'ordine nell'Universo, la legge;
  • artha: gli oggetti materiali, la prosperità ed il benessere che sono necessari per la vita;
  • kâma: passione, desiderio, amore sensuale;
  • moksha: dalla radice muc che significa sciogliere, liberare, dunque sciogliere i legami ed attuare la propria ascesi spirituale.

Charaka afferma che la malattia ostacola il raggiungimento di qualsiasi scopo, accorciando la vita e limitando quindi il tempo a disposizione per lo studio dei testi sacri e la pratica dell'ascesi e pertanto è necessario superarla; osserviamo come la malattia sia anche per Patañjali la prima condizione di ostacolo.

Secondo Chakrapani, un commentatore della Charaka Samhitâ, lo stesso autore, ovvero Patañjali, il Signore dei Serpenti, avrebbe composto gli Yogasûtra, l'opera grammaticale di Mahabhasya di commento a Pânini e la Charaka Samhitâ stessa (Charaka Samhitâ Sarîrâsthâna I-1).

E' un'ipotesi estremamente affascinante sebbene non universalmente accettata ed è stata nel tempo dibattuta e contestata da vari studiosi (History of Âyurveda - N. V. Ktishnankutty Varier - Arya Vaidya Sala Kottakal).

Ma da dove deriva l'Âyurveda? E di che periodo stiamo parlando? Datare un'opera indiana è sempre un'operazione complicata, considerando anche la tendenza degli studiosi indiani ad accentuarne l'antichità; per quanto riguarda la Charaka Samhitâ si suppone sia stata composta e sistematizzata nei primi secoli della nostra era, anche se la sua derivazione è molto più antica; nasce infatti in grembo alla medicina cosiddetta vedica, le cui pratiche sono codificate in modo particolare in uno dei quattro Veda, l'Atharva-Veda, ove vengono descritti - in 371 inni - i rituali necessari per scacciare le malattie.

Queste memorie vediche di una prima antica medicina sono espresse in termini di formule indirizzate contro i demoni o i nemici; versetti magici per espellere malattie procurate da spiriti maligni o inviate dagli dei come punizione per i peccati commessi dagli uomini, ma si ritrovano anche incantesimi intesi a garantire salute e longevità, successo e vittoria, attrazione sessuale e vigore maschile.

Non è difficile constatare che fra l'Atharva-Veda e la scienza medica vi sono molti elementi comuni, in particolare il lessico anatomico, l'uso di alcune piante officinali, alcuni dati di fisiologia e patologia. E' inoltre evidente che si presentano entrambi come saperi sacri, rivelati dalla divinità ed eternamente validi. La stessa Charaka Samhitâ afferma esplicitamente tale legame:

«Quando ci si chiede quale fra i quattro Veda è seguito dai dotti in medicina, la risposta è che i medici ripongono la loro devozione nell'ultimo fra i quattro, perché esso tramanda una terapia fatta di offerte, benedizioni, oblazioni, pratiche di buon auspicio, sacrifici, osservanze religiose, espiazioni, digiuni, mantra, e così via. Questa terapia è prescritta per giovare alla longevità» (Charaka Samhitâ Sûtrasthâna XXX-20,21)

La medicina vedica, in quanto medicina rituale, poteva però essere praticata solo dal sacerdote, che probabilmente aveva anche una buona conoscenza della natura e dei suoi cicli vitali e che deteneva il grande potere, sostanzialmente precluso alle altre caste, di trattare direttamente con le forze naturali (esistono divinità mediche, quali gli Asvin, medici gemelli degli dei).

Nonostante ciò la medicina, sebbene necessaria, veniva guardata con sospetto in quanto pratica impura, poiché porta a contatto con i corpi delle persone malate, appartenenti anche a caste inferiori. Il medico quindi si contamina per necessità sociale.

Verso il V secolo a. C. - definito spesso dagli storici il secolo dei Grandi Maestri - quasi contemporaneamente in diverse parti del mondo emergono figure particolari che con il loro comportamento ed il loro sapere influenzeranno i secoli a venire: in Cina Confucio, in India Buddha e Mahavira ed in occidente, nella Scuola greca, Talete.

In questo periodo prende il via una vera e propria rivoluzione concettuale che mette a dura prova il sapere dei brahmani: secondo questa nuova scuola di pensiero, e in particolare ci riferiamo all'India e all'insegnamento del Buddha, l'etica assume la prevalenza sulla nascita. Di conseguenza si diffonde la convinzione che la nobiltà vada conquistata interiormente, non derivando più dall'appartenenza ad un determinato gruppo sociale.

Contemporaneamente è presente in India una grande e forte tradizione ascetica, le cui tracce risalgono ad un periodo più antico e che troverà poi una sistematizzazione nella grande opera di Patañjali, gli Yogasûtra. Gli asceti - chiamati shramanas da shram, radice sanscrita che indica «sforzo», «esaurirsi» - ritirati nella foresta e nelle loro grotte operavano grandi sacrifici, pratiche molto intense e un particolare tipo di medicina.

Si pensa quindi che gli asceti, gli yogin, fossero in realtà i primi ricercatori in campo medico; essi, così vicini alla natura, ne osservavano le dinamiche, studiavano e conoscevano profondamente le piante ed i loro effetti sul corpo e sulla mente.

Svilupparono probabilmente una grande conoscenza pratica delle arti in medicina in un periodo oscillante tra 2000 e 2500 anni fa, ed è quindi grazie a loro che si sviluppò una sorta di medicina «alternativa»; alternativa poiché non rappresentava un sistema medico affermato ed appartenente ad una certa cultura, ma nasceva nelle caste cosiddette inferiori o addirittura al di fuori di tale sistema; la medicina degli asceti itineranti che si guadagnavano da vivere con la loro scienza medica, curando le ferite e le malattie.

Ricordiamo che charaka significa «colui che si sposta di luogo in luogo»: può quindi essere un riferimento ai medici itineranti che viaggiavano per i villaggi ed il territorio.

La medicina vedica celebra la vita; negli inni si ritrova l'amore per la vita, la propensione all'amore, alla ricchezza ed al benessere (in relazione con l'appartenenza alle caste più elevate).

Al contrario l'Âyurveda, in quel tempo, considera la vita come una sorta di incidente di percorso, qualcosa di spiacevole che la persona deve affrontare: Charaka afferma che «si nasce per ignoranza e si vive cercando di superare questo stato». Dal punto di vista sociale infatti l'Âyurveda nasce nelle classi più umili, dove la sofferenza è grande ed è più facile sviluppare una visone pessimistica dell'esistenza.

Sebbene la nascita dell'Âyurveda costituisca un punto di rottura nei confronti della scienza medica dominante, nella pratica però non compie alcuna vera rivoluzione in quanto tende a fare propri elementi diversi provenienti tanto dalla pratica ascetica, quanto dalla tradizione vedica e buddista.

La scienza ayurvedica assorbe i diversi valori culturali esistenti all'epoca della sua nascita, ma il fatto straordinario è che, a partire da questa mescolanza di valori, riesca ad evolvere nel giro di pochi secoli nel sistema autonomo di conoscenza che conosciamo noi oggi.

«Per colui che vede il proprio Sé espanso nell'universo e l'universo nel proprio Sé, e che vede il superiore e l'inferiore, la pace sulla conoscenza non viene mai a mancare» (Charaka Samhitâ Sarîrâsthâna V-20)

di Carmen Tosto

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