Il mantra: una sezione dei Veda; inni usati negli atti rituali; formula o parola sacra, versetti espressi o meditati in parole durante la concentrazione e la meditazione; parole o suoni di potere atti a far acquisire stabilizzare certi stati di coscienza; pensiero vibrante.
Un mantra ha due aspetti: il primo è manana, e significa che ciò che si è ascoltato deve penetrare nella mente; il secondo è trâna, e vuol dire che qualunque cosa sia entrata nella mente vi deve essere fermamente stabilita e preservata. (Glossario Sanscrito, Ed. Asram Vidya).
Il Mantravidya, o scienza dei mantra, consiste nello studio e nella conoscenza delle parole sacre, e della loro utilizzazione in quanto veicoli coscienziali.
L'accesso alla meditazione mantrica avviene in varie modalità : in alcuni casi la meditazione è spontanea e libera, nel senso che ci sono mantra universali utilizzabili da tutti, altrimenti l'introduzione avviene in modo diretto per grazia del Guru durante l'upadesa o rituale di iniziazione.
Il mantropadesa inizia alla vita spirituale, il mantra diviene sostegno nel rituale di interiorizzazione e nella sâdhanâ (disciplina con fine spirituale).
Il rito e la ritologia in generale, pur muovendosi ancora all'interno di coordinate legate alla mâyâ, è da ritenersi importante ai fini purificatori e di preparazione ascetica. Ogni rito contiene in sé gli aspetti e i passi fondamentali che il sâdhaka (praticante) dovrà attraversare e svelare nel suo cammino di liberazione.
Il rito è metafora del cammino e del suo compimento.
Se andiamo ad esaminare il mantra e il suo significato integrale, scopriamo aspetti di notevole importanza. In una prospettiva realizzativa, la sua meditazione dovrebbe portare a compenetrarne in profondità il significato in tutta la sua sacralità . Grazie a questo «sforzo», che si esplica nell' esercizio costante (abhyâsa), si risvegliano potenze e conoscenze che il sâdhaka riconosce e realizza.
Il mantra agisce a piĂą livelli, in senso ascendente esso sviluppa la sua azione secondo tre principali sfere:
- in qualitĂ di suono-vibrazione;
- in qualitĂ di pensiero-vibrante;
- in qualitĂ di parola-sacra.
Suono-vibrazione: l'aspetto sonoro è legato a quello vibrazionale. A questo livello il mantra-suono interagisce sul corpo energetico (prânamayakosha). La vibrazione-suono riesce a sbloccare, sciogliere e rettificare le correnti praniche. L'effetto oltre a riverberare in possibili nuclei e blocchi di tipo emozionale, disgregandoli, determina e plasma il fisico denso (annamayakosha) che va in risonanza con la riorchestrazione energetica. Questo primo aspetto del mantra è quello che più facilmente viene conosciuto in quanto di immediata sperimentazione.
Pensiero-vibrazione: interviene a livello del manas o citta; possiamo considerare l'utilizzo determinato del mantra come possibilità di gestione e di controllo delle modificazioni della mente (manas-citta-vrtti). Il mantra è una geometria mentale, che, se stabilizzata attraverso l'esercizio, diviene pratica concentrativa (dhâranâ). Nella sua ripetizione costante veicola le correnti e geometrie-pensiero contenute nella citta. Queste si vanno gradatamente a polarizzare attorno al «Nome» riunificandosi. Ciò, oltre a rappresentare un reale fattore di salute e di equilibrio mentale, viene a considerarsi propedeutico per quella «posizione» interiore di ascolto e di attenzione pura che è della «mente» contemplativa (dhyâna).
Parola Sacra: se nel primo aspetto il mantra agisce nella sfera grossolana energetica, e nel secondo opera nella sfera mentale unificando e limitando le dispersione del manas, è in questo ultimo aspetto - integrato agli altri due - che viene ad assumere il suo significato più alto. Nonostante ciò, spesso per ignoranza si sostiene che il mantra non debba contenere nessun significato. Ciò forse è vero in alcune scuole, ma anche in quei casi solo in una visione superficiale. Infatti viene detto che un mantra senza significato è parola senza potenza, la quale è come il latte di una donna sterile o le sterili nuvole di autunno.
Il mantra è «Parola sacra», in questo senso è profondamente connesso e legato al Principio che rappresenta ed esprime in sé stesso. E' quindi il Principio stesso fatto Verbo, è parola salvifica, è il nome-essenza del Principio che si rivela nel nome stesso con i suoi attributi.
Il sâdhaka viene a Lui connesso per mezzo dell'upadesa, l'iniziazione, che tradizionalmente segna l' inizio del cammino ascetico e del sacrificio di sé.
In questa prospettiva dovremmo interiorizzare il mantra come un faro nell'oceano buio dell'esistenza, o come una stella che brilla perenne nelle profonditĂ del cielo. Luce da cui mai dovremmo distogliere lo sguardo.
Il mantra diviene l'Isthadevatâ, la forma «prescelta» di Quello che è senza forma.
Il mantra è Simbolo Sacro capace di traghettarci in se stesso e oltre se stesso.
«Un simbolo non comprende e non spiega, ma accenna al di là di se stesso, a un senso ancora trascendente inconcepibile, oscuramente intuito, che la parola del nostro linguaggio attuale non potrebbe adeguatamente esprimere.» C. G. Jung
Il significato viene solitamente colto dalla mente in maniera analogico-simbolica. Il simbolo apre la parola (Vâc) nella sua potenzialità evocativa di rimandare ad altro. Un altro che non è definibile come significato, ma che è capace solo dopo una assimilazione meditativa di trasmutare in profondità la coscienza e suoi contenuti.
L'intuizione del significato diviene realizzazione. Questa solitamente, tranne in alcuni rarissimi casi, avviene per tappe: ogni grado di intuizione-comprensione rappresenta un determinato livello di espansione della coscienza, che grazie al mantra stesso viene stabilizzato.
Come abbiamo detto, il rituale è metafora della sâdhanâ, è la sâdhanâ stessa che, portando a maturazione la nostra consapevolezza, intensifica l'apertura nei confronti del Divino.
Questo diviene veicolo a cui offrire il nostro sforzo e sacrificio, la nostra evocazione, la nostra attenzione. (Isvarapranidhâna). La sâdhanâ contempla l'ascolto, la riflessione profonda e la meditazione integrale.
Il Principio divino che si svela per mezzo del mantra, ci coinvolge in una relazione che si determina secondo varie modalitĂ : tamasica, rajasica e sattvica.
La meditazione è sattvica se l'invocazione del Suo nome non nasce da una richiesta, ma da un movimento spontaneo di partecipazione e gioioso affidamento (Bhaktimârga).
E' sattvica quando, stabile all'ingresso del Cuore, si assiste all'offerta spontanea del pensiero, della parola e dell'azione e dei loro stessi frutti, conoscendo che in realtà ogni cosa a Lui appartiene (Karmamârga).
Nella meditazione sul nome sacro si è chiamati a discriminare continuamente tra ciò che è e ciò che non è, e a distaccarsi, nel processo di svelamento del Principio, da ogni concetto-opinione, da ogni nome e ogni forma finanche quella del Principio-mantra stesso, offerto ai piedi di loto di Quello che è prima di ogni principio e che è senza forma (Jñânamârga).
La sâdhanâ meditativa ci invita a compenetrare con silenziosa umiltà il Significato Originale. Per accostarci sempre più in verità al richiamo ultimo, siamo chiamati a maturare quelle qualificazioni che preparano il cuore al divino assorbimento:
viveka e vairâgya: discriminazione e distacco dalle istanze individuate ed egoistiche che nutro nei confronti della Vita e del Divino, discriminazione e distacco dalle lusinghe dei compiacimenti spirituali, che si presentano nell'apertura meditativa;
sama: calma mentale, che si espande nel Cuore incontrando l'Essenza - Nome;
dama: autodominio e autocontrollo della mente, possibile solo dopo un esercizio costante e senza riserve, che sfocia nell'abbandono-incontro con il Signore, auriga e conoscitore di tutti i campi;
uparati: raccoglimento attorno al Nome sapendo che il Nome è lo stesso Cuore;
titikshâ: sopportare con equanimità l'assalto degli opposti, sopportare l'oscuro quanto il luminoso sapendo che dietro ogni movimento, ogni accadimento c'è l'insegnamento del Maestro;
shraddâ: fiducia incrollabile nel nome-guru, nel Principio-mantra;
samâdhâna: stabile stato di assorbimento-meditativo nella Realtà ultima. di Lamberto Breccia
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