DEL VERO, DEL BELLO E D'ALTRO
Inviato: 5 giugno 2006, 13:24
Mia cara amica, gentile Rita,
s'io abbia a cuore il summenzionato signore? Statene certa, come a cuore ho le sorti d'ogni uomo d'ingegno o che tale mi paia. Con ciò, bando ad impeti erotici prematuri al momento odierno!
Per il resto, indovinate la mia radice (non può negarsi ch'io abbia atteso agli studii classici), ma non l'iter... Da quel che pareva a me mostrarsi quale prosieguo brillante degli studii ho tosto deviato, optando per la vita d'Arte...
Ed ora, conclusosi il quarto lustro per me di vita lo scorso ottobre, sono in balìa delle note, degli inni, dei miei remoti canti, in una conca campestre cui nulla del secolo giunge, da cui al secolo perviene un'aura zefirica sottile.
Omaggi a voi, cara signora...
Per quel che voi concerne, mio amico, A.T., quando nomino il mio proprio santuario, non dico che d'un loco a me non distante in cui è consuetudine ch'offra agli dèi (e sommamente al Sommo Dio, ch'è Bacco) libagioni di latte e vino, nonché sussurrate preci
in rima. Quivi sovente si mostra a me il Bello nella sua possa naturale, quivi conduco talora taluni amanti...
DELL'UMILE E DEL VERO
Signore, che s'intendano lo stato del proprio intendimento, le facoltà del proprio ingegno, i mutamenti dell'animo, le altezze e le bassezze del medesimo, questo (ch'io ritengo fondante per la cerca metafisica) io non chiamo umiltà. A me pare, piuttosto, che un tale procedere non sia che un uso proprio del mezzo razionale. Dunque designamolo "facoltà lucida", "metodo analitico", "osservazione adamantina"...Immediato cadere in equivoco ove la terminologia in uso sia quella abusata da secoli di dogmatismo cattolico...
Un tale metodo (l'osservazione adamantina) conduce, com'è bene, alla visione netta del sé: alla contemplazione del medesimo, ove scintilli d'inclita bellezza, al biasimo ove ancora sia soggetto a mende. E in tal caso è d'uopo che l'io da sé per sé provveda all'intima catarsi.
Il Vero, signore, si mostra a me palesemente un'essenza parmenidea cui l'individuo metafisico tende, bramando l'ipostasi suprema... Ma questo pare a me così chiaro, una tale idea parmi così solatìa, ch'io non potevo scriverne, certo...
Piuttosto dicevo del Vero che il soggetto plasma, volente o nolente, e che discende dall'umor della mente...
Mi rifarò al mio adorato Gabriele per esser palese (non vi fu maggiore eloquente, in terra, di questo facondo virtuoso del Verbo, caro a Calliope e a Sarasvati):
"Io non comprendo perché oggi i poeti si sdegnino contro la volgarità dell'epoca presente e si rammarichino d'esser nati troppo tardi o troppo presto. Io penso che ogni uomo d'intelletto possa, oggi come sempre, nella vita creare la propria favola bella. Bisogna guardare nel turbinio confuso della vita con quello stesso spirito fantastico con cui i discepoli del Vinci erano dal maestro consigliati di guardare nelle macchie dei muri, nella cenere del fuoco, nei nuvoli, nei fanghi e in altri simili luoghi per trovarvi "invenzioni mirabilissime" e "infinite cose"."
("Il Fuoco")
V'amo...
Miranda
s'io abbia a cuore il summenzionato signore? Statene certa, come a cuore ho le sorti d'ogni uomo d'ingegno o che tale mi paia. Con ciò, bando ad impeti erotici prematuri al momento odierno!
Per il resto, indovinate la mia radice (non può negarsi ch'io abbia atteso agli studii classici), ma non l'iter... Da quel che pareva a me mostrarsi quale prosieguo brillante degli studii ho tosto deviato, optando per la vita d'Arte...
Ed ora, conclusosi il quarto lustro per me di vita lo scorso ottobre, sono in balìa delle note, degli inni, dei miei remoti canti, in una conca campestre cui nulla del secolo giunge, da cui al secolo perviene un'aura zefirica sottile.
Omaggi a voi, cara signora...
Per quel che voi concerne, mio amico, A.T., quando nomino il mio proprio santuario, non dico che d'un loco a me non distante in cui è consuetudine ch'offra agli dèi (e sommamente al Sommo Dio, ch'è Bacco) libagioni di latte e vino, nonché sussurrate preci
in rima. Quivi sovente si mostra a me il Bello nella sua possa naturale, quivi conduco talora taluni amanti...
DELL'UMILE E DEL VERO
Signore, che s'intendano lo stato del proprio intendimento, le facoltà del proprio ingegno, i mutamenti dell'animo, le altezze e le bassezze del medesimo, questo (ch'io ritengo fondante per la cerca metafisica) io non chiamo umiltà. A me pare, piuttosto, che un tale procedere non sia che un uso proprio del mezzo razionale. Dunque designamolo "facoltà lucida", "metodo analitico", "osservazione adamantina"...Immediato cadere in equivoco ove la terminologia in uso sia quella abusata da secoli di dogmatismo cattolico...
Un tale metodo (l'osservazione adamantina) conduce, com'è bene, alla visione netta del sé: alla contemplazione del medesimo, ove scintilli d'inclita bellezza, al biasimo ove ancora sia soggetto a mende. E in tal caso è d'uopo che l'io da sé per sé provveda all'intima catarsi.
Il Vero, signore, si mostra a me palesemente un'essenza parmenidea cui l'individuo metafisico tende, bramando l'ipostasi suprema... Ma questo pare a me così chiaro, una tale idea parmi così solatìa, ch'io non potevo scriverne, certo...
Piuttosto dicevo del Vero che il soggetto plasma, volente o nolente, e che discende dall'umor della mente...
Mi rifarò al mio adorato Gabriele per esser palese (non vi fu maggiore eloquente, in terra, di questo facondo virtuoso del Verbo, caro a Calliope e a Sarasvati):
"Io non comprendo perché oggi i poeti si sdegnino contro la volgarità dell'epoca presente e si rammarichino d'esser nati troppo tardi o troppo presto. Io penso che ogni uomo d'intelletto possa, oggi come sempre, nella vita creare la propria favola bella. Bisogna guardare nel turbinio confuso della vita con quello stesso spirito fantastico con cui i discepoli del Vinci erano dal maestro consigliati di guardare nelle macchie dei muri, nella cenere del fuoco, nei nuvoli, nei fanghi e in altri simili luoghi per trovarvi "invenzioni mirabilissime" e "infinite cose"."
("Il Fuoco")
V'amo...
Miranda