yoga.san ha scritto:Paolo proietti ha scritto:....
Nella sadhana che possiamo intendere come allenamento occorre fare grande attenzione ai "nemici interiori".
Supponiamo che uno lotti con tutto se stesso per annichilire il proprio ego.
E supponiamo che per farlo impari a controllare o trattener talune pulsioni che reputa negative.
Il desiderio di affermazione personale, ad esempio.
Il desiderio di essere riconosciuto come maestro o praticante esperto.
O persona di grande cultura o carisma o fascino.
Il desiderio di imporre la propria volontà o il proprio punto di vista su tutto e tutti.
Il desiderio di dar sfogo alla propria rabbia.
Il praticante onesto riconosce in se certe pulsioni, quando emergono.
E, a volte, quasi automaticamente, le sotterra.
ne impedisce l'emergenza.
....
Se seppelliamo nel nostro inconscio le emozioni, le pulsioni che riteniamo indicibili o negative, e le incateniamo con la volontà e con la mente razionale, al buio e al freddo si faranno sempre più forti e potenti e prima o poi, riemergeranno.
Tanto più violentemente quanto più in profondità le avevamo nascoste.
La fase di evacuazione è il momento in cui le pulsioni nascoste arrivano alla luce della coscienza, al sole.
Il difficile è riconoscerle.
Bisogna chiamarle per nome e rendersi conto che ci appartengono.
E' impressionante osservare in questa fase, il fenomeno della proiezione.
Proseguendo nella ricerca spirituale si giunge, talvolta, a credersi esseri puri, o distaccati dalle pulsioni del corpo, o qualcosa di più degli altri.
In qualche modo il pensiero si fa strada nel nostro subconscio e i residui egotici cominciano a lavorare sottotraccia.
Difficile riconoscere in noi certi meccanismi.
Più facile osservarli negli altri.
In un certo senso gli altri sono sempre nostri maestri.
Ci danno un'opportunità per conoscere noi stessi, per imaparare a riconoscere le nostre emozioni e a viverle alla luce del giorno.
un sorriso,
p,
Ho sperimentato, ti chiedo un'opinione in merito, che a questo proposito una pratica di arti marziali, cito ad esempio il karate, può essere molto utile per questa che tu chiami "evacuazione". Io ho sempre avuto una buona dose di aggressività che mi infastidiva, consideravo estranea e rifiutavo, tenendola repressa. Le esplosioni, che ogni tanto fatalmente capitavano, le mandavo giù, come un boccone amaro. Un veleno!
Ci ho messo molto a capire che in qualche modo dovevo aprire la valvola. Le resistenze a "fare" invece che a chiacchierare e basta, sono sempre molto intense.
Il valore, seppur traslato, forse addirittura simbolico, del praticare una disciplina "evacuante" è stato per me molto alto.
Dopo due ore di palestra, se e quando vinco la battaglia col "stasera sono stanco" ... "non ne ho voglia" etc etc, mi sento in pace col mondo e con me stesso.
In questa modalità anche yama-nyama-asana.... hanno un sapore più intenso.
ti abbraccio.
S.
Ognuno dovrebbe trovare tecniche adatte alle sue caratteristiche fisiche e psichiche.
Quello che credo di aver riscontrato è che il lavoro si fa sempre più sottile e quindi sempre più, tra virgolette, difficile.
La pratica dello yoga, alla fin fine, consiste nello portare l'attenzione su stati sempre più rarefatti.
C'è una sostanza mentale, citta, che viene portata a spasso attraverso i canali energetici (nadi) dai venti (o soffi o correnti) chiamati Vayu o Prana.
Di solito quasi casualmente (o forse casualmente) in certi momenti si fissa su determinati coagili energetici assumendo la funzione, di volta in volta, di senso dell'io (ahamkara), intuito (buddhi), mente raziocinante (manas).
Tutte funzioni in relazioni tra loro.
L'evacuzione è la purificazione della mente meomoria (Citta).
Simbolicamente, per alcuni, fattivamente per altri, la sadhana consiste nel disciogliersi di un elemento in quello da cui procede.
La terra rappresenta uno stato di coscienza diciamo più grossolano.
L'acqua lo è un po' meno e così via.
Le emozioni scaturiscono da esperienze.
Le esperienze si fissano in impressioni (vasana) che danno forma a quello che si può definire corpo interno o spazio interno.
Visto che sei uno sculture mettiamola così: il corpo interno è fluido, una specie di ameba luminosa dotata di coscienza.
Il fluido prende la forma del contenitore in cui viene versato.
Il contenitore rappresenta i limiti.
Ogni impressione (legata ad una emozione, legata a sua volta ad un sentimento) è come una scultura di legno.
L'insieme delle sculture di legno che chiamiamo impressioni, rappresenta il contenitore del corpo fluido.
Il corpo fisico, la guaina del cibo (anna mayakosha) non è il contenitore, ma in qualche modo ne è la rappresentazione.
Come se fosse un video che riprende le opere di uno scultore.
Un video sulle opere di Brancusi, non è le opere di Brancusi, ma è in relazione con esse.
Ci siamo?
Ora cosa fai quando scolpisci il legno?
Prendi un ramo, un ceppo, un tronco, lo osservi e in qualche modo intuisci cosa ne può venir fuori.
Diciamo che sai che forma si nasconde nel ramo, nel ceppo o nel tronco.
Leonardo parlava di tecnica del levare.
Poi fai un primo abbozzo, sgrossi con l'accetta per esempio, o con la raspa.
Più vai avanti e più il lavoro si farà sottile e delicato.
Ogni impressione è un tronco che nasconde forme sempre più raffinate e sottili.
L'evacuazione consiste nell'eliminare i trucioli, la segatura, i pezzi di corteccia, fino ad avere la forma effettiva.
Aggressività?
Bisognerebbe andarci a fondo.
Mi sembra di ricordare che il tuo maestro è un grande karateka.
Quindi ne saprà sicuramente più di me.
Ma fingiamo che non sia così, fingiamo che io non sappia chi è lui.
L'aggressività è il ceppo.
Lavorando con il karate tu lo sgrossi.
Hai già intravisto la forma che si nasconde nel suo interno.
La sensazione, liberatoria, che provi dipende da questo.
Per estirpare l'aggressività veramente, per risolvere il contenuto psichico, bisognerà, ad un certo punto, cominciare ad usare strumenti più precisi.
Cominciamo con il definire l'aggressività?
In linea di massima è l'impulso a eliminare fisicamente o a causare danni fisici (e psicologici....) in un altro essere vivente.
Questo impulso scaturisce da bisogni primari: alimentazione, riproduzione, conservazione della specie.
Ho fame.
Se non mangio muoio.
Vedo un cerbiatto e cerco la maniera di bloccarlo per poterlo fare a pezzi e cucinare.
Vedo un frutto.
Un altro essere umano si avvicina per prenderlo.
Cerco la maniera di bloccarlo per impedire che lo mangi prima di me.
Ho un erezione.
Il mio sperma è vitale.
C'è una femmina della mia specie, dall'odore capisco che è in un periodo fertile.
Cerco di sedurla.
Se mi rifiuta la stendo con una bastonata e la violento.
Sono una madre.
Sto allattando i miei "cuccioli" si avvicina un predatore o qualcuno i cui atteggiamenti mi ricordano quelli del predatore.
Gli salto addosso e cerco di metterlo in fuga o di ucciderlo.
Questa è l'aggressività diciamo primaria.
Se la esaminiamo vedremo che scaturisce sempre dalla paura.
Paura di morire di fame, paura di non riprodursi, paura che venga fatto del male ai nostri figli o ai nostri cari.
Se c'è amore ovviamente non c'è paura.
Nel momento in cui non desidero penetrare una donna per riprodurmi, ma per essere uno con lei l'idea di stordirla con un colpo in testa non mi passa nemmeno per la mente.
Nel momento in cui comprendo che l'individuo che si avvicina al frutto è un essere umano esattamente come lo sono io mi viene spontaneo dividere il cibo con lui.
L'aggressività primaria una volta che si è conosciuto l'Amore, non ha senso.
Anzi non lo avrebbe.
Perché di fatto, con tutti i profeti dell'Amore che si sono succeduti dalla notte dei tempi ad oggi, l'aggressività fa ancora parte di noi.
Evidentemente scaturisce da altro.
Da dinamiche diverse.
Per esempio la frustrazione.
I bisogni primari di cibo e sesso nella nostra società sono accompagnati o addirittura sostituiti da altri bisogni.
Sintetizzando (molto) questi nuovi bisogni sono relativi al riconoscimento del proprio ruolo sociale e alla realizzazione delle esigenze egotiche.
Esempio:
Io, Paolo, ho un alto concetto di me, autostima.
mi reputo bello, bravo, buono, intelligente.
Incontro una donna bella, brava, buona, intelligente, mi trovo in sintonia con lei e
lei non me la dà.
Essendo bello, bravo, buono e intelligente non la stordisco con una bastonata in testa e faccio finta di niente.
Ma comincerò a pensare ad una serie di motivazioni:
1) è lesbica.
2) E' immatura.
3) Non è intelligente come credevo.
4) E' animata dalla volontà di ferirmi.
Se poi la bella, brava, buona, intelligente ha la sventura di "darla" (per evitare discussioni inutili sto usando "darla" e " me la dà" in senso ironico) ad uno che reputo meno bello, bravo, buono, intelligente di me si instaurano altri meccanismi, a volte raffinatissimi, che mi porteranno a cercare di eliminare comunque ciò che si frappone tra me e l'oggetto del desiderio.
Che in questo caso non è il desiderio di copulare con la donna bella ecc. ecc. ma quello di non mettere in discussione l'immagine che ho di me.
Il mio ruolo sociale.
So che l'esempio può apparire banale.
Ma forse serve per introdurre un altro fattore: la percezione della minaccia.
Si diviene aggressivi quando si percepisce una minaccia ad un qualcosa che riteniamo, per noi, vitale.
Quando, cioè, si percepisce come aggressivo l'atteggiamento altrui.
Oppure si percepisce come aggressivo un fattore ambientale (ambiente nel senso di spazio, luogo).
Questa aggressività riflessa prescinde dalle reali intenzioni di coloro che percepiamo come nemici.
E' cosa assai importante questa.
Va messa in risalto, perché conduce spesso ad un gioco di specchi inestricabile.
Il sistema nervoso centrale funziona ad impulsi chimici e chimico/fisici.
Le impressioni sono in qualche modo sinapsi, diciamo che sono catene neuronali cristallizzate.
Riprendiamo l'esempio della donna bella, brava, buona, intelligente che preferisce darla ad un tizio che io reputo meno bello, bravo, buono, intelligente di me.
Vivo la presenza, l'esistenza stessa di questo tizio e, per riflesso, della donna "oggetto" delle mie brame di possesso, come un aggressione, un attentato alla mia autostima.
Se lei o lui usano (sto strabanalizzando) un profumo al vetiver, l'impressione olfattiva si fisserà e si collegherà alla dinamica aggressione, reazione.
Una nuova conoscenza che usa il medesimo profumo mi metterà in uno stato di vigilanza, perchè lo lego alla mia frustrazione.
Ogni sua parola e gesto li considererò potenzialmente aggressivi.
Lui/lei interpreterà il mio difendermi come un atteggiamento aggressivo ed a sua volta, per difendersi, potrà diventare aggressivo/a.
Torniamo a noi.
Per te le arti marziali hanno un potere liberatorio.
ti aiutano ad evacuare i trucioli.
Li scarti della prima sgrossatura.
Ma la tua aggressività dipenderà da qualcosa che è ben più radicato.
Altrimenti dopo la prima sessione di karate, il primo kumitè, non avresti più problemi di aggressività.
Questo qualcosa sarà probabilmente diverso da ciò che immagini.
La sorgente, la vera forma, nascosta nel ceppo che stai scolpendo sarà una cristallizzazione composta da una o più "impressioni sensoriali".
Un immagine, un odore, un sapore, una sensazione tattile, un suono, un pensiero.
Fin quando non ti avvicinerai a quell'impressione o quella serie di impressioni di base non sarai libero, nel tuo caso, dal demone dell'aggressività.
Se riguardi lo schemino induista (che fa parte dell'estetica indiana, si trova in vari testi, da
Abhinavagupta in poi), vedrai che ad ogni emozione è legata una divinità (nel buddismo è la stessa cosa, cambiano i nomi, a volte)
Śringāram (शृन्गारं) amore, attrazione, Visnu color verde chiaro.
Hāsyam (हास्यं) ridente, ilarità, Pramata color bianco.
Raudram (रौद्रं), Furia, rabbia, Rudra color rosso.
Kārunyam (करुणं), compassione misercordia , Yama color grigio.
Bībhatsam (बीभत्सं), disgusto, avversione, Siva color blu
Bhayānakaram (भयानकं), orrore, terrore, Kala color nero
Vīram (वीरं), coraggio eroismo , Indra giallastro.
Adbhutam (अद्भुतं), meraviglia Brahmà color giallo.
Shāntam pace tranquillità, Visnu color blu.
Gli dei sono "Persone".
Comprendere la forma del Dio Persona relativo all'emozione che stai evacuando, significa evocare quella forma particolare della divinità, e rendere visibile e tangibile al proprio inconscio ciò che altrimenti diventerebbe troppo vago e sottile per essere condotto alla luce della coscienza.
E' operazione che è meglio fare come pratica volontaria, prima che l'inconscio proietti all'esterno la forma, adeguata alla propria mitologia personale, dell'impressione "negativa" attribuendola a persone che ti stanno vicine e trasformando i tuoi nemici interiori in nemici in carne ed ossa.
